Il segretario della Cgil regionale Pino Gesmundo: “Necessario investire su buona occupazione”
Giovani che non cercano lavoro e che, sfiduciati, hanno definitivamente rinunciato a cercarlo. In una parola “Neet”. Il fenomeno, secondo i dati Istat relativi alle dinamiche del mercato del lavoro nel quarto trimestre 2020, sarebbe in crescita. Nella Città metropolitana di Bari, anche se il numero di occupati rimane stabile con 113mila unità, nel 2020 come nel 2019, con un calo del tasso di disoccupazione, questo non deve essere considerato un dato positivo. Già perché viene calcolato sul rapporto tra persone in cerca di occupazione e forza lavoro, e il numero di persone che un lavoro non lo cercano più è passato dal 40,5% al 41%. Numeri non bassi se pensiamo che al Sud fanno peggio solo le città di Napoli, Palermo e Catania, mentre il tasso di inattività nel centro nord oscilla tra il 24 e il 29%”.
“La domanda che dobbiamo farci è perché le persone non cercano più lavoro – commenta il segretario della Cgil regionale Pino Gesmundo – Magari perché sono donne, le più colpite dalla pandemia – il 70% dei posti di lavoro persi in Italia nel 2020 hanno riguardato donne -, perché soprattutto su di loro è ricaduto il lavoro di cura durante la pandemia, dall’assistenza ai figli costretti a casa con le scuole chiuse o agli anziani non autosufficienti. Ma non si cerca più lavoro anche perché sfiduciati, perché stanchi di lavori precari, sottopagati, in grigio, che non permettono di vivere degnamente, che magari non riconoscono i titoli e i percorsi formativi su cui si è investito”.
La Puglia è tra le ultime Regioni in Europa per divario di genere, cioè tra occupazione maschile e femminile, quasi 30 punti percentuali. Ancora, in Puglia abbiamo il 17% dei dipendenti con bassa paga – peggio in Italia fanno solo Sicilia, Calabria e Campania – vale a dire persone che hanno una retribuzione oraria inferiore dei due terzi a quella mediana. Sempre la Puglia con il 25% è la seconda in Italia per lavoratori che da almeno cinque anni sono impegnati con contratti a termine sul totale dei dipendenti a tempo determinato. Un precariato infinito, dove non si intravede mai stabilizzazione. Infine, abbiamo il 24% dei lavoratori sovraistruiti, cioè che possiedono un titolo di studio superiore a quello mediamente necessario per la mansione che svolgono.
Puntare sul lavoro di qualità, spingere sulle stabilizzazioni, aiutare le donne nel far coincidere il ruolo familiare e lavorativo, garantire sbocchi professionali adeguati alla formazione culturale, queste dovrebbero essere le aree sulle quali investire i fondi del Recovery al sud.
“Solo il buon lavoro e l’occupazione di qualità trascina sviluppo, produttività delle imprese, aumento della ricchezza generale – conclude – Da qui la proposta di lavorare assieme, istituzioni e parti sociali, per costruire quello che abbiamo chiamato Patto per il lavoro e lo sviluppo sostenibile, che disegni un futuro di crescita economica e sociale per i nostri territori”.