Tra senso di responsabilità, speranza e vaccino
Nuovo lock-down, scuole in Ddi (didattica digitale integrata). Studenti a casa e docenti che, dopo la riapertura delle lezioni in presenza, devono ricominciare ad insegnare a distanza. La scuola ha dovuto reinventarsi. Promotori di questi sforzi i docenti, con dirigenti e tutto il personale addetto. Cosa significa essere insegnanti oggi? L’abbiamo chiesto ad un docente di un istituto modugnese.
D. Come sta vivendo lei questi due anni difficili?
R. Da un anno, ormai, la situazione quotidiana non è semplice. Devo ammettere che, durante il primo lockdown, ero riuscito a trovare il mio equilibrio e una routine per accettare serenamente le restrizioni. Restare a casa ha permesso di concentrarmi sulle priorità e comprendessi seriamente il confine tra serenità e infelicità. La scorsa estate una parvenza di normalità, nonostante l’eccessiva attenzione alle norme ormai tatuate in mente. A settembre, il rientro in classe. Un nuovo inizio, ma è bastato poco per ritornare al punto di partenza, se non peggio. Continuiamo a vivere una condizione precaria, di instabilità, soprattutto psicologica. Cominciamo ad essere eccessivamente stanchi e a mollare la presa. Tuttavia, uno spiraglio di speranza comincia a farsi strada grazie all’introduzione dei vaccini.
D. Com’è cambiato il fare insegnamento con la Dad (Didattica a distanza) e la Did (Didattica digitale integrata)?
R. Per quanto riguarda la mia esperienza, sento di poter asserire che questi strumenti funzionano solo ed esclusivamente per un periodo limitato di tempo e in una situazione da considerare emergenziale. Pensare che queste forme alternative di insegnamento possano prendere piede sempre più ed essere quasi “istituzionalizzate” non trova il mio consenso e mi spaventa per diversi motivi. Dalla serietà dei ragazzi (non sempre e non tutti ligi al dovere, anche a causa della stanchezza della situazione) ai problemi di connessione, fino ad arrivare alle dinamiche relazionali e sociali online che non sono assimilabili a quello che accadrebbe stando in presenza.
D. Non le sembra un paradosso vaccinare gli insegnanti ma le scuole restano sempre chiuse?
R. Le scuole non sono mai state del tutto chiuse, sia per la possibilità di scelta, che i genitori hanno avuto in passato, di mandare i ragazzi in presenza, sia per i laboratori e le lezioni ad alunni con necessità speciali. Non oso entrare nel merito delle decisioni governative sulla campagna vaccinale. Anche perché, inizialmente, per i docenti la vaccinazione era prevista durante il mese di aprile/maggio. Probabilmente, avranno deciso di anticipare per tutelare la salute degli insegnanti, anche in seguito alla diffusione della variante inglese che sappiamo essere più contagiosa proprio tra i ragazzi. Resta indubbia la necessità di rendere prioritaria o completare la vaccinazione degli anziani e di tutte le categorie fragili.
D. Con quale spirito ha affrontato il vaccino? È più preoccupato o emozionato?
R. Ho accolto la possibilità di vaccinarmi come una manna dal cielo. Mi sono sentito privilegiato e fortunato per questa occasione che mi è stata offerta. La faccenda di AstraZeneca non mi ha allarmato, ma solo preoccupato leggermente, più che altro per i vari passaparola di fake news o notizie apocalittiche che, appunto, non hanno trovato alcun fondamento di verità. Mi fido della scienza. L’atto della vaccinazione è stato per me un momento di emozione e di orgoglio: sapere di lottare per il bene comune e per il raggiungimento di un obiettivo che interessa l’intera umanità ha rafforzato la mia decisione. Sarei pronto anche domani per la seconda dose.
D. Ha già sentito qualche collega già vaccinato?
R. Con i colleghi si è instaurato un rapporto di fiducia e collaborazione. Anche la condivisione del momento della vaccinazione è stata fondamentale. Per un paio di giorni, il gruppo whatsapp di lavoro è sembrato un bollettino di guerra: ciascuno raccontava la propria esperienza. La maggior parte di noi ha accusato sintomi lievi o moderati, quali febbre e dolori articolari o spossatezza. Ho invidiato quei rari colleghi che non hanno avuto nemmeno mezzo effetto collaterale e hanno potuto affrontare indenni il post-vaccino.
D. Cosa propone lei per riaprire le scuole in sicurezza, dopo gli errori fatti?
R. A questa domanda non c’è una risposta semplice. Ho sempre sostenuto che il problema non fosse strettamente rapportabile all’interno della scuola. Da quando siamo rientrati, sono state attuate, giudiziosamente, le misure preventive e le famose tre regole anti-Covid: igienizzazione delle mani, mascherine e distanziamento. Indubbiamente, andrebbe potenziato il sistema dei trasporti e, probabilmente, strutturato meglio l’orario delle lezioni, differenziandolo per classi. Si potrebbero fare varie ipotesi che, all’atto pratico, potrebbero rivelarsi futili. In ogni caso, credo che al primo posto sia sempre utile fare affidamento al buonsenso di ognuno di noi.